Quando Gesù disse: tutto è Uno

Quando Gesù disse: tutto è Uno

Il motivo principale per il quale non amai molto, alla prima lettura, i Vangeli del “canone”, cioè quelli facenti parte del Nuovo Testamento, fu che non mi diedero pressoché nessuna risposta per un avanzamento spirituale come, invece, me ne seppero dare moltissime il Corano o, per andare in Oriente, la Bhagavad Gita.

Il Testo sacro islamico contiene in sé tutto ciò che un’anima necessita, forse proprio in quanto rivelazione definitiva e diretta di Dio. Dal comportamento quotidiano alla corretta ascesi per giungere a stati spirituali più sottili. I Vangeli sinottici, invece, narrano “semplicemente” (ed è, d’altro canto, anche questa la loro intrinseca bellezza) della vita di Gesù. E’ un po’ come leggere un libro di narrativa. Scene che ci ricordano i tempi del catechismo durante l’infanzia, o che danno calore all’animo umano, ma che forniscono pochi indizi se si vuole intraprendere – specialmente in autonomia – un percorso di formazione spirituale. Dico sempre che, se avessi dovuto superare la paura della morte con la sola lettura del Nuovo Testamento, sarei oggi allo stesso identico punto di partenza.

I Vangeli gnostici, invece – proprio per la loro stessa natura – sanno offrire molto di più in tal senso. La presenza della Realtà Ultima è qui molto più pregna, più chiara e facilmente intuibile (soprattutto dopo un percorso di studi), pur mantenendosi velata e dai connotati esoterici e, quindi, necessari di interpretazione. Che è, però, esattamente ciò che io cerco, fin dal primo giorno, dalla religione. Di qualunque religione si tratti.

La gnosi, a cui si ricollega lo gnosticismo evangelico, è il tentativo, lo sforzo dell’uomo di ricongiungersi. Di congiungersi di nuovo con ciò che la materia ha separato: Dio. Superare il dolore, il conflitto, la dualità, per ridiventare esseri completi e universali. E nei Vangeli gnostici – che sia per parola diretta di Gesù, o tramite il pensiero del narratore – ciò che si vuole esprimere è esattamente questo. L’uomo, per entrare nel Regno divino (che è innanzitutto presente dentro di noi) deve superare sé stesso. Andare oltre sé stesso. Oltre, dunque, la materia. E c’è un Vangelo che mi ha colpito in tal senso, ed è quello di Tomaso, dal quale trarrò la maggior parte degli spunti per questo scritto.

Concludo questa prima parte citando il filologo Luigi Moraldi, il quale disse che il significato della gnosi è conoscere Dio attraverso la conoscenza di sé stessi, che è in fondo ciò che esprime Gesù nei versi che tra poco condividerò.

I discepoli chiesero al Messia come e quando sarebbero entrati nel Regno, e lui rispose: «Allorché di due farete uno… la parte superiore come l’inferiore… allora entrerete nel Regno». Si esprime ancor meglio quando dice: «Allorché del maschio e della femmina farete un unico essere sicché non vi sia più né maschio né femmina» (Vangelo di Tomaso, v. 22). Ci sta dicendo che dobbiamo smettere di identificarci con il nostro corpo perché noi non siamo questo corpo: è soltanto un’illusione nella quale siamo immersi. Finché ci percepiremo soltanto come un corpo ci sarà divisione (il due che non è uno), ma nel momento in cui «di due farete uno», ossia riconosceremo l’intrinseca e totale Unità dell’esistenza, ecco che si paleserà il Regno (o, per dirla con l’Oriente che condivide tutti questi passaggi, otterremo la liberazione).

Colgo questa occasione per porvi un riferimento che viene dall’Advaita Vedanta indiana (la non-dualità) che può anche diventare pietra di paragone con il Cristianesimo gnostico.

Diceva il mistico dell’Advaita, Nisargadatta, che «Quando la mente viene nutrita (ossia quando concettualizza tutto, compresa sé stessa), la Realtà scompare; quando la mente digiuna (con un silenzio interiore sempre più profondo), la Realtà appare».

Ecco dunque che la Realtà Ultima, o il Regno di Dio se preferite, si può palesare solo quando non c’è chi pensa e paragona e divide in continuazione, ma soltanto la Consapevolezza di essere parte integrante (un uno senza due) di Quello, che è l’Indescrivibile per eccellenza.

Nell’aforisma n.61 dello stesso Vangelo, Gesù dice di essere «colui che proviene dall’Indiviso», affermando implicitamente che Dio è l’Assoluto senza eguali, Colui che, per dirla con il Corano «non ha generato e non è stato generato». Indiviso, per l’appunto. Sopra ogni qualsivoglia limitata descrizione umana. E se da un lato Gesù «viene» da Lui in quanto Suo Logos, o Verbo, o Parola, tutto in sostanza proviene da Dio, tutto esiste in Dio, e tutto in Dio ritorna. Questo perché nulla esiste all’infuori di Esso se non attraverso un’errata percezione dell’esistenza. Continua Gesù, parlando proprio di questo: «Quando uno sarà indiviso sarà ricolmo di luce; ma quando è diviso sarà ricolmo di tenebre». Dunque raggiungeremo la «Luce» – che è un modo comune alle religioni monoteiste di descrivere la bellezza del Divino – soltanto quando torneremo uno con Lui. E per essere uno con l’Assoluto – e qui viene a galla la gnosi – soltanto Dio può esistere; noi – cioè il nostro ingannevole ego – dobbiamo sparire per fare spazio all’Unica Realtà. Che lo chiamiate «Fanà», tipico del Sufismo, o il concetto di «surrender», cioè arrendersi al Sé universale, comune alla non-dualità indiana, tutte le tradizioni spirituali concordano che, ove c’è divisione c’è conflitto, e dunque «tenebre»; mentre dove c’è unità c’è luce in abbondanza.

Lo scopo dell’esistenza umana è riconciliarsi con ciò che è diviso, e quindi ritornare all’Unità che governa ogni cosa. Solo allora l’uomo sarà completo, sarà davvero felice, libero dall’angoscia della vita e, dunque, della morte.

In un altro Vangelo gnostico – quello di Filippo – l’autore del testo – che dovrebbe risalire a circa il 200 dopo Cristo – dice: «In quel luogo tu vedrai te stesso e diventerai quello che tu vedi» (61, 35). Ci sta dicendo che, una volta raggiunta la nostra completezza attraverso la gnosi (la conoscenza di sé), dopo la morte diverremo esattamente questo: un tutt’uno con la Fonte Prima e il Fine Ultimo, che è per l’appunto Colui che Gesù ha chiamato l’«Indiviso».

Non esiste dualità, ma soltanto un apparente buio (l’ignoranza circa i vari perché – e relative risposte – della nostra esistenza) che ci distoglie e ci inganna da ciò che è Vero, dal Reale. Da qui derivano tutte le nostre paure.

In precedenza vi ho detto che lo gnosticismo è quella via che ci permette di comprendere Dio soltanto tramite un’autentica comprensione di sé stessi, ossia della parte “cosmica” e indivisa di sé, che appartiene a Dio, e a Lui inevitabilmente tornerà. I maestri gnostici tramandarono che per conoscerLo devi «partire da te stesso». Nel momento in cui pervieni a una reale conoscenza «del dolore, della gioia, dell’amore, dell’odio… troverai [Dio] in te stesso». Perché il Creatore non è a 10.000 metri d’altezza, da qualche parte nello sconfinato Universo. Il Creatore è – per dirla similmente alle Upanishad indiane – pienezza totale, in cui ogni particella del tutto contiene il Tutto. Non è questo il luogo adatto per disquisire sulla figliolanza divina o meno di Gesù, il quale però disse «Spaccate il legno, io sono lì dentro. Alzate la pietra, e li mi troverete» (Tomaso, v.77). Questo significa che in noi c’è – in nuce, primordialmente parlando – il tutto di cui andiamo affannosamente alla ricerca. Ogni particella del cosmo contiene il cosmo intero. Per questo Gesù dice, nel versetto 67 del Vangelo di Tomaso: «Colui che conosce il tutto, ma è privo [della conoscenza] di sé stesso, è privo del tutto». La gnosi serve proprio a questo: a riconciliare e ricongiungere – nell’Uno – ciò che è apparentemente spezzato, separato.

Perdonatemi la brutalità dell’espressione: non si raggiunge Dio se non “annientandosi” in Lui, in un ritorno verso la gioia contemplativa di ciò che E’. Dell’Uno indiviso senza due, che noi dovremo tornare ad essere.

Gesù affermò che «quando di due farete uno, sarete figli dell’uomo» (Tomaso v. 106).

Similmente, nel Vangelo di Verità (un altro testo gnostico di “recente” ritrovamento a Nag Hammadi) è scritto – qui per bocca del narratore, e non più del Messia: «Siccome la perfezione del tutto è nel Padre [cioè Dio], è necessario che il tutto risalga verso di Lui». Non diventeremo esseri perfetti, universali, finché non ci ricongiungeremo con Colui che E’ perfezione.

Sabato 25 ottobre 2025

Ti consiglio anche la lettura della Metafora delle vergini in Paradiso secondo il Corano.

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