Oggi (26 giugno 2025) ho avuto modo di riflettere sulla deriva morale della gioventù odierna. Quegli adolescenti e giovani adulti che mi sembrano non avere più valori che li radichino in una stabilità quotidiana, in relazioni (con chiunque) sane, costruttive e non violente. Adolescenti e giovani adulti che – dalla musica che ascoltano, dal linguaggio che usano (o non usano), dalla mancanza di scopo esistenziale che molto spesso li avvolge e travolge – sembrano destinati a una vita alla deriva. E per deriva intendo un’esistenza che sia soltanto lavorare senza un progetto per il proprio futuro, bere un calice al bar e poco altro. Un’esistenza che oso definire vana.
E proprio ragionando su questo ho pensato al ruolo che la morte – il pensiero costante della morte, o quanto meno di quello che nell’Islam è il dhikr (la rammemorazione costante di Dio, e di tutto ciò che Esso permea) – possa aiutare questi giovani e, più in generale, qualunque persona di buona volontà.
Dice Allah nel Corano: «Ricordatevi dunque di Me, e Io Mi ricorderò di voi». Può apparire come una velata “minaccia” spirituale, ma il significato è profondo: l’uomo si salva soltanto cercando l’Assoluto. Quell’Uno, eterno e immutabile, al quale l’anima istintivamente anela.
Din al-Fitrah è chiamato nell’Islam, ossia la disposizione innata nell’uomo di cercare il Dio unico. Quella naturale e istintiva purezza con il quale l’essere umano è stato creato in principio, e che esso deve saper mantenere per cercare Dio.
Dico questo perché l’ho sperimentato, in primo luogo, su me stesso. Tutte le volte che, nell’ultimo anno, ho vissuto giorni o addirittura settimane, lontano dal ricordo di Dio, dalla consapevolezza di essere destinato alla morte, e che in questo ineluttabile destino c’è un segno, un obiettivo e uno scopo per l’esistenza umana, mi sono sentito abbandonato alla corrente del destino, pur pensando, scioccamente, di essere libero. Libero di essere ciò che sono senza Dio. Libero dalla ricerca faticosa del divino. Dimenticandomi, almeno per quegli attimi, che senza il divino semplicemente non siamo.
Differentemente, ogni volta che sono ritornato a pregare con devozione, a prostrarmi con la fronte sul freddo pavimento, a ricordarmi di Dio quando mangio un pezzo di pane, dei biscotti a colazione, una pastasciutta a pranzo, ecco che la Gioia è tornata a colmare il mio cuore. Non si può spiegare ciò se non con l’espressione: moto interiore dell’anima che si sente avvolta, protetta, rassicurata da ciò che la mente, da sola, non può comprendere e razionalizzare.
Dice ancora il Corano: l’uomo è stato creato debole. Non dobbiamo dunque pretendere di non esserlo, ma di certo questo è un necessario suggerimento a ciò che può rendere più fermo e sicuro l’essere umano: quella sicurezza sta in Dio soltanto.
Il significato della consapevolezza quotidiana, costante – certo, anche faticosa e talvolta spaventosa – che la morte arriva, ci aiuta a riconnetterci con quanto di prezioso, di bello, di sano, di gioioso, di limpido c’è nella nostra vita e nella nostra quotidianità.
Lo ripeterò sempre: soltanto facendo un percorso verso e di fianco la morte, potremo imparare a non temere questa parola. Se non altro perché in questa parola c’è l’Infinito che si apre.
Per la spiritualità musulmana, invece, la morte è un meraviglioso transito. Forse è per questo che l’Islam ancora oggi riesce a dare delle risposte a chi non le trova, ad esempio, nel Cristianesimo (che rimane, al suo fulcro essenziale, una religione bellissima).
L’Islam – mantenutosi tale nel corso di un millennio e mezzo – è riuscito a mantenere tale anche l’essenza della sua ricerca spirituale. Non è ciò che dicono i rancorosi politici in tv. Non è violenza, non è sottomissione della donna (dice a tal proposito il Corano: «Se provate avversione nei loro confronti [di vostra moglie] può darsi che abbiate avversione per qualcosa in cui Allah ha riposto un grande bene». Più chiaro di così…)
Questa bellissima religione monoteista è invece abbandono fiducioso al Decreto di Dio, qualunque esso sia, nel bene e nel male, sicché nel mondo del divino tutto e ogni cosa concorre al bene finale (a tal proposito i musulmani dicono Alhamdulillah ala dhalik – Sia gloria ad Allah per questo, ossia per tutto ciò che è venuto, viene e dovrà venire).
La morte, dunque, come un passaggio dal buio dell’esistenza (delle passioni violente, delle sofferenze del corpo e della mente, etc) alla «Luce» del divino. Percepire in questo modo la propria e l’altrui mortalità, scrisse Gabriele Mandel, «aiuta il buon musulmano ad accettare il decreto di Dio – l’ineluttabilità della morte fisica – senza dolore egoistico per chi ci lascia, senza rimpianto per le apparenze, per i possessi mancati, per gli accaparramenti e le solitudini». In sostanza si passa dalla «dimora più vicina» – che è l’illusione della vita materiale – alla «dimora ultima» che è il ventre oceanico di Dio.
E allora, per concludere, mi domando: che ne sarebbe di tutti quei giovani sulle strade, di tutti quei giovani che che si ubriacano il venerdì, il sabato e la domenica sera per dimenticare, di tutti quei giovani che usano le droghe per “divertirsi”, se in loro ci fosse il seme della fede, il dono della preghiera, la consapevolezza, come disse Papa Benedetto XVI, «di non essersi sentito solo neanche un giorno della sua vita»?
E non cito Papa Ratzinger a caso per concludere questo articolo. Per me la fede può passare attraverso l’Islam e le sue prostrazioni; per te attraverso la messa mattutina nella chiesa del paese; per qualcun altro nella saggezza dell’Oriente. Certo, non posso negare quanto io ritenga valida l’autenticità dell’Islam e del Corano, ma non dobbiamo mai dimenticare che Dio si può “esperire” in innumerevoli modi, e io avrò sempre rispetto per qualunque persona che stia facendo un serio, devoto e autentico percorso spirituale.
Bergamo, ore 18.05, 26 giugno 2025,
Tiziano Brignoli
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