Sarajevo ti entra dentro.
Sarajevo è mistica e allo stesso tempo umile. Sarajevo è modesta e calma e genuina nel vivere la propria fede all’interno di una vita.
Qui i richiami alla preghiera sanno essere delicati, di una nobiltà spirituale pura perché in qualche modo imperfetta, lontana dalla sublimità di Istanbul e dell’impero Ottomano più profondo (a cui tanto Sarajevo deve).
Sarajevo è sacra perché ha in sé moschee, chiese cristiane e ortodosse e luoghi ebraici, e nonostante la guerra e la divisione che qualcuno le voleva imporre, lei ha detto no. E l’ha detto, e continua a dirlo, in modo gentile, in un’accoglienza, la sua, che è anche il richiamo alla perseveranza.
Tu sei mio fratello. Tu sei mia sorella. Io sono musulmano, ma prima di tutto sono un essere umano. Perché non lo vedi che siamo qui per conoscerci a vicenda?

Gli occhi di coloro che a Sarajevo professano l’Islam mi spezzano il cuore. Sono limpidi e liquidi allo stesso tempo. Sono paterni e accoglienti. Devoti di una purezza cristallina, come il corpo dopo le abluzioni. In alcuni dei vostri occhi – come quelli dell’uomo che mi ha insegnato il modo giusto di entrare in moschea, che mi teneva affettuosamente il braccio istruendomi sul giusto orario della preghiera – ho rivisto mio nonno, ho sentito il calore di mio padre, ho capito che l’uomo devoto è l’uomo migliore.
Erano le 5.40 di mattina del mio ultimo giorno in città, e sapevo come avrei voluto coronare, e culminare, il mio viaggio nella città balcanica. E’ lì che il mio spirito ha vissuto per quei due giorni. E’ lì che ho scoperto che la casa dell’anima non è meno importante del luogo nel quale torneremo finita la vacanza.
Il cielo era ancora nero pece, e quello che sentii venire dalla moschea della Bascarsija sembrò quasi – invece che un richiamo alla preghiera – il tocco di una madre che – delicatamente e amorevolmente – accoglie e introduce il figlio a un appuntamento importante: l’incontro quotidiano con Dio che ben fa iniziare la giornata. Una carezza, non una sveglia. Un abbraccio innocente e casto, invece che sensuale.
Finite le pratiche religiose, il cielo iniziava a schiarirsi, salutai il signore che veniva, dalla mattina all’alba alle ultime ore del giorno, ad aprire la moschea per i fedeli. Gli raccontai la mia storia e lui, come parole benedette, disse semplicemente, con felicità e gioia innocente: Mashallah.
Era tempo di ritornare a casa. Ma quale casa?
Per questo, e per molto di più, Sarajevo è un bastione di civiltà.
Se Dio vuole e a Dio piacendo, un giorno ci rivedremo. Inshallah.
Ti consiglio di dare un’occhiata anche a questa pagina, dove puoi trovare, in breve, i racconti di tutti i viaggi che ho fatto.