
Introduzione al mio primo libro di poesie: “Chiamatemi traditore”
Ho deciso di pubblicare questo libro per dovere civico, e ancor di più morale. Non potevo fermarmi a guardare, impotente, quello che, dal 7 ottobre 2023, si è perpetrato a Gaza, con decine di migliaia di bambini uccisi dalle bombe di Israele, e di migliaia di morti innocenti con la sola colpa di vivere in questo asfissiante lembo di terra, senza annunciare, attraverso queste poesie, il mio dolore e, perfino, il mio senso di colpa.
Sì, parlo di senso di colpa perché, molte delle bombe con le quali Israele incendia il cielo mediorientale, sono prodotte in Europa, nella nostra Italia, per non dire nella democratica America.
Un senso di colpa che pervade ogni fibra del mio corpo, in quanto mi rende consapevole che tutta, o buona parte della mia fortuna in quanto cittadino italiano, europeo, occidentale, va a discapito di bambini, uomini e donne che pregano il Dio sbagliato, che vivono nel territorio sbagliato, che parlano la lingua sbagliata e – ci sembra dire Israele, e dunque l’Occidente che non smette di sostenerlo – meritano di morire.
Le poesie della mia raccolta, nonostante ciò, cercano un dialogo, un punto d’approdo e, dunque, d’incontro, fra il diritto di Israele di poter esistere (ma non di poter opprimere) e i numerosi diritti negati a un popolo – quello palestinese – che da quasi ottant’anni vive in una condizione di oppressione politica, sociale, economica, lavorativa.
E allora cerco, con un cuore sanguinante di lacerante dolore per quanto sta succedendo in Palestina, di mettermi nei panni di queste persone, di capire le loro ragioni, di empatizzare con le loro paure, di dare dignità alla loro voce, e in tutto ciò di smontare un po’ della nostra presunzione di saperci l’unico popolo eletto e civilizzato del mondo.
La mia raccolta di poesie (si tratta di alcune poesie brevi e alcuni poemetti un po’ più lunghi) sembra dire a tutti noi a gran voce: non dobbiamo aver paura del nemico. Non lo è. Non lo è mai stato. Il nemico è ciò che non conosciamo. Che non vogliamo conoscere. Per paura. Per odio. Per rancore. Per mantenere il nostro ambivalente status quo.
Non dobbiamo avere paura. Non dobbiamo provare odio. Dobbiamo soltanto allungare la nostra mano in segno di saluto, con l’affettuosa dolcezza del Salam Aleikum.
E allora attraverso le mie poesie io allungo una mano, nel tentativo di stringere affettuosamente anche quella del nostro (presunto) “nemico”. Perché la fratellanza universale deriva dalla comprensione universale, che porta inevitabilmente a una compassione universale. E, come leggerete anche nel mio libro, è esattamente quello che il Testo Sacro del mondo arabo e islamico – il Corano – insegna a gran voce: conoscetevi e dialogate tra di voi.
Ma per far questo, inevitabilmente, in una condizione di guerra perpetua come quella fra Israele, la Palestina occupata e il mondo arabo, dobbiamo accettare di fare noi, in primo luogo, un passo indietro, di riconoscere quali sono, se non le nostre colpe, almeno le nostre responsabilità. E facendo un passo indietro avremo modo di guardare negli occhi, e di farlo con grande empatia, ciò che ci è stato detto essere inconciliabile al nostro pensiero.
Tutto questo vale ancor di più oggi, con una nuova aggressione di Israele a Gaza e a tutto il popolo palestinese. Non sono solo le bombe, ma la mancanza di cibo, di acqua pulita, di cure mediche. Non è solo la morte, ma anche la mancanza di dignità che avvolge alcuni esseri umani condannati all’oblio.
Con queste poesie io voglio parlare chiaramente e ripetere le parole di Tiziano Terzani: dobbiamo annullare le ragioni stesse che portano alla guerra, quindi al terrorismo, quindi al reciproco annientamento. Guardiamo in volto il “nemico” e umilmente chiediamogli: «quanto fa male oggi?»
Potete trovare il mio libro su Amazon a questo link.
Vi lascio con due brevissimi estratti delle poesie del libro e, se vorrete, buona lettura.
«Salutiamoci con il Salam Aleikum / finché l’incontro fra civiltà / torni a possedere l’antico fulgore / di una comune alba a Timbuctù».
«In una terra che sembra avere / la religione, ma non più un Dio: / a morte il divergente! / a morte la ragione! / a morte il confronto! / a morte la pace! / E’ così che inizia il viaggio / nell’ade del martirio».

